Ci sono libri, la stragrande maggioranza di quelli in circolazione, che ti "prendono per mano". Ti dicono che A vive in un posto, è figlio di B e C, poi magari B e C spariscono e allora A incontra D. Poi si racconta la vita di D prima che incontrasse A, spiegando che D è figlio di E e F, successivamente scomparsi anche loro. Poi magari A affronta delle situazioni che portano avanti nel racconto, magari succede qualcosa a D, poi a trenta pagine dalla fine c'è il colpo di scena e pian piano si arriva alla conclusione. Oppure libri/film dove c'è una situazione iniziale, arriva un problema, c'è tensione, arriva l'"eroe" che affronta la situazione e magari risolve, affrontando la situazione, anche dei conflitti con sè stesso. Insomma, potremmo parlare di "clichè". Ecco, Castelli di Rabbia, ma Baricco in generale, per quello che ho potuto leggere di lui fino ad ora, è tutto tranne che clichè. Non sta lì a spiegarti che tizio è così perchè da piccolo i genitori lo hanno maltrattato o che magari alle elementari lo hanno chiuso nel bagno della scuola o magari caia ha la mamma che beve, il padre che traffica con la droga e allora lei diventa la paladina degli indifesi. Baricco ti prende sì per mano, ma ti lascia camminare. Ti dice Guarda, lì c'è Pekisch, è un musicista, un po' strano. Vediamo cos'ha da raccontarci. E così pian piano conosciamo gli abitanti di Quinnipak, città immaginaria nella quale si svolge Castelli di rabbia. SE ANDATE OLTRE LEGGETE LA TRAMA, ma anche se la leggete non rovinate il piacere della lettura perchè è un libro difficile da "riassumere". A Quinnipak vivono vari personaggi: c'è il signor Rail che è spesso via per lavoro e che a casa ha la bellissima Jun ad aspettarlo. Una coppia con dei segreti e dei romantici modi di comunicare in maniera complice. C'è chi ama la musica e ha inventato uno strumento geniale. C'è chi pensa a trovare la propria nota nella vita. C'è chi era bambino e ora è cresciuto. E il bello è che ognuno di questi personaggi - che forse potrebbe essere un personaggio unico - arriva e mostra di sè quello che è in quel momento. E l'autore non sta lì a spiegare per filo e per segno tutto, ma lascia che sia il lettore a intuire, a pensare quale potrebbe essere lo sfondo. Non è un libro con una trama "lineare" nè con un inizio e una fine veri e propri. O meglio, un inizio e una conclusione ci sono, ma non sono il fine del libro. Quello che va assaporato, gustato, non è l'arrivo, ma, come diceva una celebre frase, il viaggio, ossia i vari incontri con i personaggi, ognuno con un qualcosa da raccontare. Leggendo i pareri in vari siti che parlano di libri gli schieramenti sono due: chi ha amato questo libro e chi invece lo trova semplicemente inutile. E' vero, in alcuni passaggi più che una narrazione sembra di assistere ad un esercizio di equilibrismo, parole messe una di seguito all'altro come un esercizio di apnea, a perdifiato. E'anche vero, però, che mentre lo si legge, ci si sente "liberi", anche se lo si capisce alla fine. Liberi di chiudere gli occhi e immaginare ciò che sta succedendo, dando magari un passato che nel libro non c'è ai personaggi. Lo so, non è una recensione vera e propria, ma con un libro come questo è un compito molto arduo, forse irrealizzabile.

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